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“Donne e bambini fuori’’ … che gli incontri di calcio per noi Nocerini non sono semplici partite di pallone l’ho capito prima ancora di cominciare ad andare a scuola. Non avevo ancora compiuto sei anni e quando la Nocerina pareggiò il vantaggio del Catania nello spareggio per la Serie B, giocato a Catanzaro, nel giugno del Millenovecentosettantotto, i carabinieri si presentarono nel punto della tribuna dove coabitavamo con siciliani e calabresi per far uscire le donne e i bambini, perché non sapevano come garantirci l’incolumità, visto che su di noi pioveva di tutto e intorno, tra coltellate e qualche pistola sventolata come una bandiera, scoppiavano risse di continuo. Così, mentre la Nocerina tornava in Serie B, noi aspettammo papà appoggiati alla nostra macchina parcheggiata in mezzo a quelle di persone che parlavano un dialetto diverso dal nostro, per coprirne la targa, come aveva fatto una sconosciuta signora di Catanzaro che sbucò dal nulla con una sedia e venne a piazzarsi davanti la targa dell’altra nostra auto per mettersi a lavorare all’uncinetto, come se niente fosse. A pranzo non era andata meglio: mangiammo in una trattoria al centro della città con le saracinesche abbassate e, mentre eravamo seduti a tavola, in un locale dove c’erano solo famiglie Nocerine, qualcuno all’esterno passò tutto il tempo a bussare alla serranda, almeno era quello che pensavo io. Quando uscimmo, la nostra comitiva eravamo in tutto due famiglie, quattro adulti e cinque bambini, dovemmo camminare facendo attenzione a dove mettevamo i piedi per la marea di pietre di tutte le dimensioni che facevano da tappeto; sembrava di essere su di una spiaggia del litorale calabrese piena di sassi. In realtà, era solo passato uno dei tanti cortei formati da centinaia di catanesi a caccia di Nocerini prima della partita. Trascorsi nemmeno due mesi e ho capito che la Nocerina è una fede.