viaggio nella dimensione antagonista, ribelle ed eretica del fenomeno ultras
Quando si parla di ultras, è inevitabile concepire il fenomeno da diversi e a volte contradditori punti di vista. Purtroppo spesso non si riesce ad andare oltre alcuni pregiudizi legati al “teppismo da stadio” e alla complessità di un fenomeno conosciuto solo tramite rappresentazioni distorte e strumentali dei mezzi di comunicazione di massa, troppo impegnati a presentare il fenomeno ultras come un problema, una degenerazione del “tifo” genuino e pacifico, un vero e proprio motivo e causa d’allarmismo sociale.
Comprendere la natura di certi eventi vuol dire innanzitutto procedere senza pregiudizi secondo uno schema che sappia indagare il fenomeno, svelando aspetti a volte sconosciuti e impercettibili a uno sguardo superficiale. Quando ho deciso di scrivere questa tesi, fra l’altro, sapevo che due anime, in un certo senso, si sarebbero scontrate e a volte anche arricchite di peculiarità rilevanti. Da quando ero piccolo e frequentavo ancora la scuola media, mi sono promesso che al termine degli studi avrei scritto la mia tesi di laurea sul movimento ultrà, su quel variegato e contraddittorio universo che iniziavo a vivere con passione ed entusiasmo. Oggi, a distanza di molti anni rendo giustizia al mio desiderio. Anche io sono un ultras dunque e quindi, più che prendermi l’inappropriato compito di dare una soluzione, rivendico la mia appartenenza al “problema”.
Ecco allora le due “anime” che sin da ora fanno sentire le loro ragioni: da una parte l’impossibilità di cancellare la faziosità legata all’appartenenza a un gruppo ultras radicale e antagonista, i “Rebel Fans Ultras Antifa”; dall’altra l’impegno freddo e distaccato di uno “scienziato sociale” che deve analizzare il fenomeno con professionalità e abilità semantica.
Due “anime” che in ogni modo possono e devono convivere in questo lavoro. Noterete sin dal principio una forte partecipazione emotiva ai fatti che si mescola alla volontà di produrre un buon lavoro dal punto di vista scientifico. Cascate d’inchiostro che scendono giù naturalmente e passionalmente con l’intento di accendere i riflettori su una sotto-cultura che, grazie alle sue caratteristiche antagoniste e a volte rivoluzionarie, diventa contro-cultura viva e in continua metamorfosi ed evoluzione. Un dinamismo che svela le inadeguatezze delle ricerche statiche e stereotipate che non fanno altro che confondere le idee, riducendo tutto il discorso a un problema di violenza e pericolo sociale. In queste prospettive, infatti, non si riesce a cogliere la valenza aggregativa e partecipativa del fenomeno ultrà, un fenomeno che mi ha visto protagonista e attore in prima persona. Nella curva, spazio liberato dagli ultrà, un tripudio di segni ci circonda, ma la comunicazione massmediale non riesce ad andare oltre all’associazione fra questo territorio, l’emarginazione e la criminalità. Stiamo parlando per certi aspetti di una “zona franca” in cui lo Stato spesso non riesce ad esprimere compiutamente il proprio controllo monopolistico della forza. Sulle balconate, sugli striscioni, sui drappi, sui corpi che popolano la curva, si mescolano messaggi a volte contraddittori, a volte di segno opposto: dallo sport alla politica, dall’incitamento alla squadra all’esposizione di una bandiera con il volto di Ocalan per esempio. Ogni singola maglietta o sciarpa di ogni singolo ultrà, insomma, potrebbe tenere impegnati gruppi di semiologi per anni.
La ricerca sul campo, a mio avviso, è l’unica capace di dare finalmente voce ai protagonisti del rito domenicale, agli ultras delle tifoserie che sovranamente occupano quelle zone temporaneamente autonome che sono le curve di ogni stadio italiano.
Del resto la militanza nella curva sud di Cosenza è stata ed è una delle cose più importanti della mia vita. Quando avevo quattordici anni, ho fondato un gruppo ultras, i Rebel Fans, conosciuti in tutta Europa per le iniziative antirazziste e per gli ideali antifascisti. Una prova concreta che mostra la falsità di quelle analisi che dipingono tutti gli ultras come persone che hanno un pallone al posto del cervello, come dei nazisti che si nascondono dietro i gruppi organizzati per fare violenza ai danni dei diversi. Tante, troppe esperienze in prima persona che oggi contribuiscono in positivo alla mia analisi volta a svelare le tante, troppe semplificazioni sul fenomeno. Riuscire a trattare questa tematica senza inibizioni abbandonando in parte il solco delle precedenti ricerche un po’ troppo “omologate”, come ho già accennato, potrebbe voler dire presentare questo movimento d’aggregazione ponendo particolare attenzione alla sua valenza partecipativa. Ultrà o Ultras, da nord a sud, dalla serie A ai dilettanti, dalle megalopoli ai paeselli di provincia, di destra o di sinistra, casual o combat, in casa o in trasferta, semplicemente a sostegno di un ideale che è la propria Città con i suoi colori da difendere, costi quel che costi. Si tratta di una vera e propria sotto-cultura che assume un valore particolare all’interno della società contemporanea.
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Pagine 248/ill.
Anno: 2010
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